Edoardo Sanguineti: Censura, religione, cultura, a proposito di "Totò che visse due volte"
Dichiarazioni di Edoardo Sanguineti raccolte da Tatti Sanguineti, dicembre 2005.
La ‘nostalgia di censura’
Credo che la 'nostalgia di censura' sia uno degli elementi che agisce di più nella nostra società. Formalmente parlando non dovrebbe più esistere nulla di simile. E' vero…ciò che leggiamo e vediamo oggi era ritenuto impensabile fino a qualche decennio fa.
Giuridicamente certe norme sono ormai cadute.
Malgrado ciò, ritengo che la recente politica del Vaticano si sia impegnata nel tentativo costante di recuperare pieno controllo e poteri, in questo senso.
Insomma, il pontefice attuale (Nb: Giovanni Paolo II) mi sembra un regnante molto bellicoso.
Pensi, ad esempio, ai recenti contatti stabiliti con i politici...
E' chiaro che anche da parte delle forze politiche si stabiliscano legami tra Tevere e Oltretevere molto complicati e molto interessati.
Totò che visse due volte
A mio avviso Totò che visse due volte possiede un forte valore culturale. Penso si possa considerare uno dei capolavori della storia del cinema.
E considero Ciprì e Maresco due grandi registi. A quanto vedo, oggi in Italia - e all'estero - non c'è nulla di paragonabile a quello che hanno fatto. Hanno davvero qualcosa di nuovo e importante da dire. E lo fanno, anche se in modo non convenzionale.
Ma il significato politico e sociale dei loro film fa sì che, mentre passano filmacci orrendi e moralmente turpi, se un'opera ha un'identità di ricerca culturale forte - una carica non di sfruttamento dei pubblici vizi e delle inesistenti virtù ma che implichi davvero degli elementi e spinga alla riflessione - e vuole veramente cercare di condurre a una visione un po' realistica delle cose, viene perseguitata.
Nel caso in cui io fossi un credente, non mi preoccuperei affatto se qualcuno offendesse i miei sentimenti. Da vero credente, sarei talmente tranquillo che, pur interpretando come negativo o oltraggioso qualcosa, riuscirei ugualmente a viverla con assoluta facilità. Direi che nei Vangeli questo esempio di tolleranza c'è. Checché se ne dica. Cioè Gesù Cristo non si preoccupava mica del fatto che qualcuno non condividesse le sue posizioni.
Il rispetto dei defunti e il rispetto delle memorie
So che per Totò che visse due volte è in corso una causa sul rispetto dei culti e cose del genere. Beh, insomma: il rispetto dei defunti. Se qualcuno lo ha coltivato e insegnato agli italiani era un miscredente radicale come Ugo Foscolo, autore della più bella poesia sul culto dei morti. Dei sepolcri dice, infatti, che sono il "costitutivo della civiltà" - come aveva già insegnato Vico. Foscolo, dunque, laicizza fino in fondo la posizione vichiana, secondo la quale: "la civiltà consiste nelle grandi istituzioni il cui emblema dei rapporti sociali e civili sono i sepolcri". Tanto che i grandi sepolcri per lui sono quelli di Santa Croce, tempio delle glorie italiane in opposizione al Vaticano. Quella che il poeta propone è nient'altro che una laica religione delle sepolture.
In questo senso, credo che i laici possano vantarsi di essere gli unici a non pensare all'anniversario dei morti. A portare i fiori ai defunti. A dare vita a cerimoniette apparentemente pietose ma, in realtà, abbastanza formali.
Ma è veramente il culto delle memorie, delle storie, di quello che l'eredità culturale può portare a noi come ricchezza vitale. Se gli italiani fossero davvero un popolo laico avrebbero maggior rispetto verso i morti.
La modernità e la cultura anarchica
Totò che visse due volte è, dunque, un film nettamente laico che guarda agli archetipi religiosi con sguardo laico e libero. La mia opinione è che la cultura moderna e novecentesca sia stata sempre una cultura con una forte pulsione anarchica. Che si tratti di Marinetti o Majakovskij, di Buñuel o Ejsenstejn, di Brecht o Bréton. Mi sembra che la cultura laica abbia significato qualcosa solo grazie a questa pulsione. E quando gli intellettuali dotati di questa spinta sono tornati all'ordine, non hanno più significato nulla.
Ciprì e Maresco ai miei occhi - per fortuna - sono eredi di questa grande tradizione novecentesca e, in un certo senso, li considero come la conclusione ideale di questa sorta di processo.
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