2.3 "Togliere ogni scena parlata in lingua straniera"
Come reagì la censura fascista a questo scenario? In maniera inflessibile, radicale. L'uscita italiana, nell'aprile 1929, di Il cantante di jazz aveva posto il governo di Mussolini di fronte al problema dell'invasione delle lingue straniere, dietro alla quale si celava il pericolo di una sempre maggiore infiltrazione di idee sgradite al regime. Se un primo decreto del novembre 1929 vietava di concedere il nulla osta alle "pellicole riproducenti brani di dialogo in lingua straniera" ammettendo solo quelle "sonore e cantate", la successiva circolare del Ministero dell'Interno del 22 ottobre 1930 introdusse la proibizione totale di proiettare in Italia film parlati in lingua straniera, seppure tradotti con l'espediente della sovrimpressione di didascalie. Una frase ricorre in modo ossessivo nei visti censura di quel periodo: "Togliere ogni scena dialogata o comunque parlata in lingua straniera".
È l'imposizione, sempre la stessa salvo rare e poco significative varianti (come "sopprimere o rendere muti i brani parlati in inglese", utilizzata per alcuni cortometraggi), che veniva applicata indistintamente a tutti i film stranieri non tradotti, compresi quelli sonori ma non ancora "parlati": lo si può notare effettuando nella banca dati la ricerca dei film dal 1930 al 1933.
Jean A. Gili ha rilevato che "l'assenza di doppiaggio o il suo carattere sperimentale mise gli schermi italiani in una curiosa situazione: i film sonori d'origine straniera erano proiettati sopprimendo i dialoghi". Il risultato era la cosiddetta "sonorizzazione": questi film venivano continuamente interrotti, con ben poco rispetto per l'estetica e la fluidità narrativa, da didascalie che traducevano il contenuto dei dialoghi tagliati. Della colonna sonora originale rimanevano dunque solo le musiche e i rumori; e nel caso in cui i dialoghi fossero particolarmente abbondanti, i film rischiavano di diventare "letti al cento per cento", come li definirono gli umoristi del Marc'Aurelio.
Continua Gili: "La giustificazione di tale politica - voluta, sembra, dallo stesso Mussolini - era nella volontà di non permettere agli italiani di imparare le lingue straniere andando al cinema!". In un'Italia in cui l'analfabetismo si attestava al 25% i film riempiti di didascalie costituivano un problema serio per gli spettatori, che cominciarono a sfollare le sale. Anche per questa ragione, per non perdere il prezioso mercato italiano, le major americane si adoperarono dapprima nelle versioni multiple e poi nel doppiaggio delle loro pellicole.
Oltre ai poveri spettatori, del resto, le principali vittime di questa situazione furono proprio i film americani, che in quegli anni dominavano il mercato italiano: mentre l'industria cinematografica nazionale versava in uno stato di crisi, quella hollywoodiana viveva viceversa il suo momento d'oro, con la conseguenza che dei circa 300 film distribuiti in media ogni anno in Italia il 90% erano stranieri e di questi circa il 60% statunitensi.
La quantità
Grazie al ritrovamento degli archivi della revisione cinematografica, che è alla base del progetto Italia Taglia, oggi è possibile ricostruire in maniera più precisa questo capitolo non troppo conosciuto della storia della censura del nostro Paese. Innanzitutto dal punto di vista quantitativo: quante pellicole in totale dovettero subire l'imposizione del taglio delle parti in lingua straniera?
Il numero è impressionante: dal novembre 1929 all'agosto 1933 i film mutilati per questa ragione furono 492, dei quali 64 cortometraggi (di metraggio inferiore a 1000 m). Di questi 492, ben 360 sono statunitensi (54 i cortometraggi), 65 tedeschi, 30 francesi (compresi alcuni della Paramount Joinville), 12 coproduzioni (quasi tutte europee, in maggioranza franco-tedesche), 10 inglesi, 5 polacchi e 2 svedesi, più alcuni altri cortometraggi di nazionalità non identificata.
Se si considera che dal 1930 al 1933 il totale dei lungometraggi stranieri distribuiti in Italia fu di circa 1150 (da cui però andrebbero esclusi quelli degli ultimi quattro mesi del 1933, quando questa fase della censura ebbe termine), si deduce che quasi il 40% di essi (428 titoli) subì questo tipo di tagli.