1.1 L'età liberale
La nascita di una legislazione specifica in materia risale all'epoca giolittiana e trova il suo humus in un forte movimento d'opinione favorevole all'introduzione della censura, animato soprattutto dal quotidiano conservatore Il Giornale d'Italia.
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20 febbraio 1913 Il presidente del Consiglio Giolitti dirama ai prefetti una circolare che colpisce "le rappresentazioni dei famosi atti di sangue, di adulteri, di rapine, di altri delitti" e i film che "rendono odiosi i rappresentanti della pubblica forza e simpatici i rei; gli ignobili eccitamenti al sensualismo (...), ed altri film da cui scaturisce un eccitamento all'odio tra le classi sociali ovvero di offesa al decoro nazionale".
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Legge 25 giugno 1913, n. 785 Il primo provvedimento legislativo registrato in materia di censura autorizza "il governo del Re ad esercitare la vigilanza sulla produzione delle pellicole cinematografiche, prodotte all'interno o importate dall'estero".
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Il regolamento esecutivo della legge (Regio decreto 31 maggio 1914, n. 532) è di grande importanza, perché introduce quella casistica di argomenti suscettibili di rientrare nell'ambito della censura che verrà ripresa fedelmente, adattata e ampliata, non solo nel periodo fascista ma anche in età repubblicana.
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Obiettivo della legge è vietare al pubblico la visione di: "spettacoli offensivi della morale, del buon costume, della pubblica decenza e dei privati cittadini; spettacoli contrari alla reputazione e al decoro nazionale o all'ordine pubblico, ovvero che possano turbare i buoni rapporti internazionali; spettacoli offensivi del decoro e del prestigio delle istituzioni e autorità pubbliche, dei funzionari e degli agenti della forza pubblica; scene truci, ripugnanti o di crudeltà, anche se a danno di animali; delitti o suicidi impressionanti e in generale azioni perverse o fatti che possano essere scuola o incentivo al delitto, ovvero turbare gli animi o eccitare al male".
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La legge accenna anche alla questione della lingua straniera: "I titoli, i sottotitoli e le scritture (...) debbono essere in corretta lingua italiana. Possono tuttavia essere espressi anche in lingua straniera, purché riprodotti fedelmente e correttamente anche in lingua italiana".
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La censura sui film è esercitata dal ministro dell'Interno, cui spetta concedere o negare il nulla osta "in conformità al giudizio del revisore" (ed eventualmente imporre una nuova revisione a film già muniti di nulla osta). Sono previsti due gradi di giudizio per la revisione delle pellicole: in primo grado il revisore è un funzionario della Direzione Generale della Pubblica Sicurezza o un commissario di polizia, in secondo grado una commissione composta dal vice-direttore generale e da due capi divisione della Direzione Generale della P.S.
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Il R.d. 9 ottobre 1919, n. 1953 introduce il controllo preventivo sul "copione o scenario": perché una pellicola possa accedere al procedimento di revisione, prima dell'inizio delle riprese il soggetto deve essere "in massima riconosciuto rappresentabile" dalla censura. Nella pratica, tuttavia, il copione viene sempre presentato alla commissione di primo grado insieme al film finito: il controllo preventivo sarà applicato con rigore solo a partire dal 1935 (1.2 Il periodo fascista).
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R.d. 22 aprile 1920, n. 531 (a firma del ministro dell'Interno F. S. Nitti)
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Anche la revisione di primo grado è affidata a una commissione, che non ha più una natura solo repressiva ma si allarga ad altri soggetti, seppur sempre di nomina ministeriale: oltre a due funzionari della Pubblica Sicurezza, "un magistrato, una madre di famiglia, un membro da scegliersi fra educatori e rappresentanti di associazioni umanitarie che si propongono la protezione morale del popolo e della gioventù, una persona competente in materia artistica e letteraria e un pubblicista".
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Alla casistica censoria si aggiungono l'offesa al "pudore", l'offesa al "Regio esercito e alla Regia armata", "l'apologia di un fatto che la legge prevede come reato" e "le operazioni chirurgiche e i fenomeni ipnotici e medianici".
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