3.3 La censura politica
Con il progressivo consolidamento del regime autoritario fascista, la tipologia di censura di stampo ideologico assume naturalmente una rilevanza sempre maggiore, ed è quella su cui si sono concentrate le maggiori attenzioni da parte degli studiosi interessati al rapporto tra fascismo e cinematografia, in particolare in relazione alla produzione nazionale.
La prima legge liberale sulla censura (1.1 L'età liberale) aveva organizzato gli argomenti attinenti la sfera politica e istituzionale secondo tre principali linee-guida: la salvaguardia del "decoro nazionale e dell'ordine pubblico", quella dei "buoni rapporti internazionali" e quella del "prestigio di istituzioni e autorità pubbliche e di funzionari e agenti della forza pubblica", cui si aggiunse in seguito il "Regio esercito".
La censura fascista fece proprie tali categorie, piegandole alle esigenze di controllo ideologico da parte del regime. Riportiamo alcuni tratti salienti emersi dalla censura "politica" sui film stranieri nella prima metà degli anni ‘30.
Non nominare il Duce
Nel timore del diffondersi di idee critiche verso il regime, la censura fascista dimostrò in generale un'assoluta intolleranza nei confronti di qualsiasi riferimento al Duce e al regime stesso, o anche soltanto ai simboli della Nazione, presenti nelle opere artistiche comprese quelle cinematografiche.
In una sorta di interpretazione "autoritaria" ed estremizzata del concetto di tutela del decoro nazionale e del prestigio delle pubbliche autorità, rischiavano di venire rimossi anche i riferimenti apparentemente innocui. La curiosa pellicola della Fox Nick l'intrepido (Chasing Through Europe, 1929), di David Butler e Alfred L. Werker, seguito delle avventure in giro per il mondo di uno sfrontato cinereporter raccontate l'anno prima nel muto The News Parade, conteneva sequenze parlate e alcuni spezzoni di repertorio nei quali compare anche lo stesso Mussolini. In Italia uscì nel 1930, ma privato di scene con didascalie come: «Se riesce ad ottenermi di fotografare il Duce sono l'uomo più felice del mondo», oppure: «Ho il cuore che mi batte ancora! Ho visto il Duce!»; la raccomandazione finale è di "Eliminare insomma tutte le scene e le didascalie riguardanti il Duce".
Un altro esempio si trova in Gli uomini nella mia vita (versione italiana di Men in Her Life, 1932, della Columbia), nel cui visto censura si legge: "Sopprimere l'accenno a S. E. il Capo del Governo On. Mussolini". In L'allegro notaio (Il est charmant, 1932, Paramount Joinville) venne invece eliminato "il simbolo del Fascio"; nel musical della Fox Maritati ad Hollywood (Married in Hollywood, 1930) addirittura "la Bandiera Italiana che sventola insieme ad altri ignoti vessilli"; nel francese Nudo come Adamo (Nu comme un ver, 1934) si sostituì "alla parola «corporazione» quella di «associazione»". Anche in un film italiano come Odette (1934), con Francesca Bertini, furono tolte tra l'altro le grida «Duce, Duce!».
Società e politica: il pericolo sovversivo
L'incitamento all'"odio fra le varie classi sociali", grave minaccia per l'ordine costituito, era stata l'unica (parziale) novità introdotta dal fascismo nella legge del 1923 (1.2 Il periodo fascista): sotto questo paravento normativo, i film ideologicamente sgraditi potevano venire proibiti (Gli "invisibili"), oppure tagliati nelle singole sequenze. È quest'ultimo il caso di due esempi illustri: A me la libertà di René Clair (À nous la liberté, 1932: 3.5 Non solo tagli) e Viva Villa! (id., 1934) di Jack Conway. Alla commedia del Maestro francese, storia di due amici che si ritrovano, uno padrone e l'altro operaio, in una fabbrica che sta per essere automatizzata, la censura italiana impose il taglio molto significativo delle "scene nelle quali, mentre le macchine producono automaticamente i grammofoni, gli operai giuocano, bevono, pescano e danzano": è chiaro il timore per i significati anarcoidi ravvisabili in una sequenza del genere, ritenuta evidentemente pericolosa in quanto diseducativa e potenzialmente sovversiva. Tant'è che questi operai ricordano da vicino quelli "che vanno al lavoro a passo lento", e perciò sforbiciati, nel celebre Metropolis (1927) di Fritz Lang.
Ancora più lampante la censura a Viva Villa!, biografia di Pancho Villa con Wallace Beery nel ruolo che gli valse la Coppa Volpi alla Mostra di Venezia, prodotta dalla MGM e diretta in parte da un non accreditato Howard Hawks: "Togliere le frasi a tinta socialisteggiante («Vi insegneremo che ricchi e poveri son tutti uguali» ecc.)". Analogamente, l'inno francese della "Marsigliese", con il suo afflato rivoluzionario ed egualitario (già scelto, tra l'altro, come commento musicale per la sequenza della rivolta degli operai proprio in Metropolis), com'è noto figurava tra i canti proibiti dal fascismo. E poco importa che il film nel quale compariva fosse il probabilmente innocuo Il re del valzer (Der Walzerkönig, 1930 ma uscito nel 1932), produzione tedesca su Johann Strauss. L'ordine fu perentorio: "Sopprimere o ridurre al minimo le battute della «Marsigliese» contenute nelle varie parti del film, e sopprimere totalmente la «Marsigliese» stessa nelle scene finali". Un taglio similare è deciso per il corto MGM Madama Du Barry (1932): "Togliere le parole: «O popolo che hai fame di pane e di gloria»".
Guerra e politica
La rappresentazione della guerra, e in particolare del primo conflitto mondiale, era guardata con molta circospezione dalla censura fascista. Non solo per le ragioni già citate a proposito dei tagli alle scene violente, ma innanzitutto per motivi ideologici. A questo proposito, una circolare del Ministero degli Interni del 5 novembre 1928 condannava i film sullo "sforzo degli eserciti alleati nella grande guerra", a causa delle "scene addirittura macabre che impressionano tristemente il pubblico e deprimono lo spirito patriottico, specialmente nelle donne e nei giovani".
Le pellicole antimilitariste e pacifiste erano naturalmente invise al regime (4.5 Pacifisti e sovversivi); inoltre, risvolti politici da vagliare attentamente potevano essere impliciti nella rappresentazione di taluni scenari bellici, come ad esempio quelli coloniali. Una missione segreta di un ufficiale britannico in India, all'indomani della prima guerra mondiale, è la trama del citato La guardia nera di John Ford (The Black Watch, 1930). La censura vi fece modificare una didascalia, togliendo da «Non sono sempre sicure le nostre montagne per gli assassini inglesi» le parole «gli assassini inglesi»: probabilmente in omaggio a quei "buoni rapporti internazionali" esistenti allora tra Italia e Gran Bretagna (in quel momento Mussolini era anche amico personale di Churchill), oltre che, forse, per una forma di implicita solidarietà tra Paesi entrambi coloniali.
"Vietato nelle Provincie di Bolzano e Trento"
Una tipologia particolare di censura "geografica" riguardava le pellicole la cui proiezione veniva "vietata nelle Provincie Bolzano e Trento". Si trattava di opere di produzione tedesca o austriaca i cui contenuti erano giudicati inopportuni per le platee dei territori dell'ex Impero austro-ungarico, annessi al Regno d'Italia nel 1919, perché ritenuti capaci di alimentarne i sentimenti patriottici, in evidente contrasto con la politica di italianizzazione che il fascismo aveva intrapreso in quelle zone fin dagli anni '20. Rientravano appieno in questa categoria alcuni dei film prodotti, diretti e interpretati dal cineasta e alpinista tirolese Luis Trenker: Il figliuol prodigo (Der verlorene Sohn, 1935), storia di una guida alpina tirolese che emigra a New York ma soffre e alla fine non resiste al richiamo della patria, e il singolare western L'imperatore della California (Der Kaiser von Kalifornien, 1936), su una comunità di coloni tedeschi nella California dell'Ottocento capeggiati da un esule politico. Un altro suo titolo, Montagne in fiamme (Berge in Flammen, 1931: si veda 4.5 Pacifisti e sovversivi), in cui un soldato altoatesino si trova a combattere contro gli alpini sul fronte italiano della prima guerra mondiale, venne addirittura escluso dalla distribuzione sull'intero territorio nazionale.
Nel divieto per Alto Adige e Trentino incapparono pure drammi storici di ambientazione prussiana come I due re (Der alte und der junge König, 1935, co-sceneggiato da Thea von Harbou), con il divo Emil Jannings nel ruolo del sovrano Federico Guglielmo I in contrasto con il figlio attratto dalle nuove idee rivoluzionarie, o Le spie di Napoleone (Der höhere Befehl, 1936); ma anche film ideologicamente più innocui, come la commedia dello specialista Carl Lamac Al cavallino bianco (Im weißen Rößl, 1936).