4.6 Autori scomodi: Fritz Lang, Tod Browning, Jean Renoir

Alcuni celebri autori attivi negli anni '30 ebbero a scontrarsi spesso, quando non subirono un vero e proprio accanimento, con la censura italiana e di altri Paesi, a partire da quelli di origine. Accadde a tre registi, diversissimi tra loro, come Fritz Lang, Tod Browning e Jean Renoir.

Fritz Lang: M, il mostro di sseldorf (M, Germania 1931)

Sc.: Thea von Harbou, Fritz Lang. P.: Nero Film. Int.: Peter Lorre, Otto Wernicke

"Un film ossessivo, allucinante, vietato fino ad oggi dalla censura": così recitava lo strillo della locandina italiana di M, il mostro di sseldorf nel 1960, quando venne finalmente distribuito nel nostro Paese, con trent'anni di ritardo, il primo film sonoro di Fritz Lang. Il capolavoro del regista viennese non aveva infatti ottenuto il nulla osta né sotto il fascismo né nel dopoguerra: si tratta di uno dei classici casi di proibizione "di fatto", in quanto probabilmente non ebbe nemmeno bisogno del vaglio delle commissioni di revisione.

Al di là dell'enfasi della suddetta locandina mirata ad attrarre più spettatori, era infatti impensabile che la censura fascista potesse accettare un personaggio come quello del maniaco che violenta e uccide bambine, fischiettando il raggelante motivetto preso dal Peer Gynt di Grieg: tanto più se questi aveva il volto allucinato del 26enne Peter Lorre, al suo esordio da protagonista. Inoltre, costituiva un'ulteriore aggravante il taglio realistico della regia di Lang nel tratteggiare sia la figura dell'assassino, ispirata ad alcuni fatti di cronaca nera (si disse al serial killer Peter Kürten, il "vampiro di Düsseldorf", ma il regista lo negò), sia il cupo scenario metropolitano che fa da sfondo alla vicenda (nonostante il titolo italiano, il film fu girato a Berlino). Se non bastasse, non poteva certo risultare gradita alla censura fascista la descrizione dell'alleanza tra malavita e mendicanti per catturare il mostro e sconfiggere la polizia (che metteva in scena il tema caro a Lang del conflitto tra giustizia "ufficiale" e "privata").

M, tra l'altro incluso dalla rivista Premiere nella lista dei "25 film più pericolosi mai fatti", fu proiettato in Germania l'11 maggio 1931 e in seguito proibito dal nazismo nel luglio del 1934. Prima del restauro del 2000 ad opera del Nederlands Filmmuseum, il film è stato edito in varie versioni, tutte di durata largamente inferiore all'originale.

Riguardo agli altri film di Lang, la censura italiana impose tagli a I ragni (Die spinnen, 1919), Metropolis (id., 1927) e La leggenda di Liliom (1934: 3.4 Il suicidio); problemi vari ebbero nel 1923 Il dottor Mabuse (Dr. Mabuse, 1922) e nel 1938 il suo primo film americano Furia (Fury, 1936), mentre Il testamento del dottor Mabuse (1933: 3.2 "Scene truci") fu vietato ai minori in Italia e proibito in patria con l'accusa, formulata da Goebbels, di "glorificare i criminali".

Tod Browning: Freaks (id., Usa 1932)

Sc.: Clarence Robbins. P.: MGM. Int.: Wallace Ford, Leila Hyams, Olga Baclanova

Freaks di Tod Browning è tra i film censurati più famosi di tutti i tempi. È stato proibito bin tutto il mondo: in Italia e nella Germania nazista, nel Regno Unito (per trent'anni, dal 1932 al 1963) e in Irlanda, in Australia e in molte parti degli Stati Uniti, dove ne è tuttora tecnicamente vietata la proiezione.

Film "maledetto" per eccellenza, prodotto dalla MGM per rispondere al successo di Frankenstein della Universal, stroncò inesorabilmente la carriera del suo autore. La sconvolgente originalità della scelta di Browning di filmare veri attori deformi o mutilati da una prospettiva assolutamente quotidiana, con stile realistico e senza alcun compiacimento, ma anzi con sguardo affettuoso e compassionevole, non fu capita dagli spettatori del tempo che rifiutarono il film disgustati (e si sprecano le leggende sulle reazioni del pubblico alle prime proiezioni).

È più che evidente come un argomento del genere, straordinariamente in anticipo sui tempi, fosse del tutto improponibile per la censura fascista, che anzi tendeva a rimuovere dai film ogni riferimento alla diversità e all'emarginazione. Qualche esempio: nei due cortometraggi italiani Giardini che vivono (1930) e Povertà, abbandono (1932) vennero fatte eliminare la scena dei "suonatori ciechi ai piedi della Trinità dei Monti" e "la didascalia «anormali» e la visione di tipi di deficienti"; in Fiamme umane (Blaze o' Glory, revisionato nel 1931), la parola "anormalità" e "la scena finale dei mutilati che cantano e suonano".

Freaks è l'inno per eccellenza alla diversità e alla mostruosità, rispetto alla presunta normalità. Dopo il disastro delle prime proiezioni, che avrebbe determinato anche i presunti e ingenti tagli da parte della produzione che ne ridussero la durata a poco più di un'ora, il film circolò in maniera occasionale per poi sparire, fino alla sua riscoperta negli anni '60: nel 1962, tra l'altro, venne presentato al festival di Cannes. In Italia fu doppiato e trasmesso in televisione dalla RAI nei primi anni '70, su iniziativa di Enrico Ghezzi.

Tra gli altri titoli di Browning, divieti vennero posti a diverse pellicole mute con Lon Chaney, soprattutto a tematica criminale, come Il Corvo (The Blackbird) e I Tre (The Unholy Three) nel 1926 o Il capitano di Singapore (The Road to Mandalay) nel 1927; tra quelle sonore, oltre a Dracula e Freaks rimase inedito anche Mark of the Vampire (I vampiri di Praga, 1935), mentre l'ultima ad essere distribuita fu La bambola del diavolo (The Devil-Doll, 1937).

Jean Renoir: La grande illusione (La grande illusion, Francia 1937)

Sc.: Charles Spaak, Jean Renoir. P.: RAC. Int.: Jean Gabin, Dita Parlo, Pierre Fresnay, Erich von Stroheim

Il capolavoro pacifista di Jean Renoir, prima opera in lingua straniera a ricevere una nomination all'Oscar come miglior film e Premio al Valore Artistico alla Mostra del Cinema di Venezia del 1937, è il caso più illustre tra le pellicole bandite sia dall'Italia fascista che dalla Germania nazista (Goebbels ne fece sequestrare le copie quando i nazisti occuparono la Francia) per i loro significati ideologici.

Il fatto che La grande illusione, prima di venire proibito in Italia, fosse stato non solo presentato (come avvenne anche per Estasi), ma addirittura premiato alla 5ª edizione della Mostra veneziana, è contraddittorio solo in apparenza. Lo dimostrano le critiche sprezzanti e senza appello che vennero formulate al film da esponenti di spicco del regime come Luigi Chiarini, allora direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia, e soprattutto Luigi Freddi, che le espose nel suo rapporto al Ministro della Cultura Popolare (riportato nel suo memoriale) "in previsione d'una eventuale presentazione alla censura" del film nel 1938.

Freddi definisce La grande illusione "un film politico, espressione di quella mentalità rinunciataria, quietista, antieroica che s'è appesa allo straccio bianco del pacifismo", e vi trova "tracce di elementi disgregatori e corrosivi, che agiscono in maniera quasi capillare, per lenta penetrazione". Quindi aggiunge:

"Jean Renoir (...) è un regista comunisteggiante: non soltanto per simpatie intellettuali, ma proprio per diretta partecipazione attiva all'opera della propaganda rossa. (...) Tutti questi combattenti sono stufi di combattere (...). E questo è già grave. Ma c'è qualcosa di assai più grave, di assai più intimo, di assai più sottilmente pericoloso: l'assenza di ogni motivazione ideale della guerra".

Infine si pronuncia in elogi per l'alto livello della fotografia e delle prove degli attori, e specialmente di Stroheim (che interpreta il Capitano von Rauffenstein), e conclude: "Ma tutto ciò, per le ragioni etiche che si son dette, costituisce veramente una circostanza aggravante". Dunque, il suo elevato valore artistico (motivo per il quale era stato premiato a Venezia) contribuisce addirittura alla condanna ancora più decisa di La grande illusione.

Lo stesso ragionamento è svolto da Freddi nei confronti di un altro film, Il porto delle nebbie (Le quai des brumes, 1938) di Marcel Carné, che "rivela una senilità precipitante e morbosa" ed è "probabilmente, almeno nel suo genere, un capolavoro. Ma è ciò che maggiormente preoccupa". Il nulla osta per il film di Renoir arriverà solo nel 1947, proprio come un altro titolo del regista significativamente bloccato dalla censura, La marsigliese (La Marseillaise, 1938).

Tuttavia, poteva capitare che i film bocciati riuscissero comunque a circolare, seppure in maniera limitata e clandestina, soprattutto se erano approdati alla Mostra di Venezia: La grande illusione, nella copia veneziana sottotitolata, venne proiettato in ambiti ristretti come le associazioni culturali italo-francesi e qualche GUF (Gruppi Universitari Fascisti), fino a che un'incauta pubblicità su un giornale non provocò l'intervento del questore.

È impressionante notare che, della vasta filmografia del Maestro francese, sono numerosi i titoli mai distribuiti in Italia e solo tre quelli approdati sugli schermi italiani durante il fascismo: uno con divieto ai minori, il muto Nanà (Nana, 1926), e due con notevole ritardo, Verso la vita (Les bas-fonds, 1936, uscito nel 1940 e con probabili tagli) e L'angelo del male (La bête humaine, 1938): quest'ultimo, aspramente criticato alla Mostra veneziana del 1939 come anche Il porto delle nebbie, uscì nel 1942 vietato ai minori. Per capirne meglio i motivi, basta prendere a modello la trama di Toni (id., 1934): ispirata a un fatto di cronaca, è la storia di un cavapietre italiano emigrato in Francia e si dipana tra passioni, adulterio, stupri, tentati suicidi e omicidi. Decisamente troppo per la censura fascista: il film sarà visibile solo nel 1970 trasmesso in tv dalla RAI.

La censura e i film francesi

L'ostruzionismo della censura fascista non si limitava naturalmente ai soli film di Renoir, ma riguardava in generale tutte quelle opere francesi riconducibili alla corrente del realismo poetico (vicina al movimento del "Fronte popolare"), accusate in maniera ricorrente di essere intrise di pessimismo e amarezza e perciò demoralizzanti, disfattiste e amorali. Tuttavia, l'atteggiamento del fascismo verso questi film era ambivalente: da un lato venivano boicottati, ma dall'altro tollerati perché, proprio per la loro predilezione per personaggi perdenti e tristi ambienti di periferia, potevano servire a far risaltare la decadenza della Francia e quindi, per contrasto, la salute e la forza del modello di Stato fascista.

Opere di autori come, oltre a Renoir, Carné, Prévert o Duvivier potevano rimanere bloccate per mesi o anni prima di ottenere l'approvazione, per di più vincolata spesso all'imposizione di ampi tagli: i quali non sono indicati nei visti censura perché con tutta probabilità imposti "dall'alto", trattandosi di film importanti, e dunque effettuati preventivamente senza bisogno di passare per la via ufficiale delle commissioni di revisione.

Tra i titoli più illustri presi di mira dalla censura, il citato Il porto delle nebbie, premiato a Venezia nel 1938, uscì nel 1943 censurato, tra l'altro, nel riferimento al fatto che il protagonista Jean Gabin fosse un disertore; più o meno tagliati anche Pensione Mimosa (Pension Mimosas, 1935, uscito nel 1936) di Jacques Feyder, I prigionieri del sogno (La fin du jour, 1938-9) di Julien Duvivier, La moglie del fornaio (La femme du boulanger, 1938-43) di Marcel Pagnol e La casa del maltese (La maison du Maltais, 1938-45) di Pierre Chenal. Infine, è scontata l'assenza dagli schermi italiani delle opere "rivoluzionarie", e già fortemente osteggiate in Francia, di autori come Luis Buñuel (L'âge d'or) e Jean Vigo (Zero in condotta, L'atalante).


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